Questo numero di Sinosfere raccoglie alcune riflessioni e ricerche sull’idea del “giusto” nella cultura cinese, nelle sue accezioni italiane di giustizia ma anche di giustezza, la prima intesa come il riconoscere a ciascuno quanto gli spetta secondo il diritto e le norme sociali e divine in cui una comunità si ritrova, la seconda come l’appropriatezza e la correttezza di un comportamento e di un atto. Virtù cardinale per il Cristianesimo, in Occidente attorno alla nozione di giustizia si intrecciano valori etici e sociali attinenti a sfere diverse – da quella morale a quella politica e socio-economica – e al tempo stesso il senso stesso della legge e del sistema giuridico, in quanto istituzioni e strumenti deputati a ristabilire l’ordine della comunità, punendo chi si è reso responsabile della violazione delle norme. In questo senso nella nostra storia la giustizia è un elemento costitutivo della cultura legale, rappresentando la dimensione morale del diritto.

Indagare la nozione di giustizia/giustezza nella cultura cinese, nondimeno, chiede di orientarsi in un universo e una cultura in cui il legame fra giustizia e legge, fra la dimensione morale del vivere sociale e l’ordine stabilito dalla legge si è sviluppato in modo diverso.

Basti ricordare come il termine contemporaneo per giustizia nel linguaggio cinese, zhengyi 正义, sia un composto di concetti etico-filosofici molto più antichi, in cui il termine yi 义, tradotto come “senso del giusto” o “rettitudine”, rimanda all’ambito della morale, e in particolare quella confuciana, senza però relazioni storiche con l’ambito giuridico e legale. Mentre il sistema giuridico – il cui compito è, nella prospettiva moderna, garantire l’ottenimento della giustizia – richiama nella sua denominazione (sifabu 司法部 è il moderno ministero della Giustizia o meglio degli organi della legge, mentre xingbu 刑部, ministero delle Pene, quello del sistema imperiale) il ruolo istituzionale di giudicare e amministrare la legge dello Stato, senza evocare il principio morale di yi come sua principale ragion d’essere.

Ambiti concettualmente separati nella letteratura filosofica e giuridico-amministrativa della Cina imperiale, la giustizia e la legge si intrecciavano nell’articolarsi concreto della vita sociale, in una dialettica complessa fra il senso morale e sociale del giusto, anche legato a prospettive religiose e del mondo dell’aldilà, e la funzione della legge nella comunità. Come d’altronde mostrato dal fatto che i codici giuridici della Cina imperiale erano modellati dai valori sociali ed etici confuciani, mentre al tempo stesso i principi di “misurazione” del comportamento umano che modellavano il funzionamento della legge si rispecchiarono nelle concezioni e nelle pratiche religiose legate alla crescita morale e spirituale dell’individuo. Se nel Ventesimo secolo la modernizzazione giuridica cinese ha finito inevitabilmente con l’attingere a un modello come quello occidentale in cui la sfera della giustizia e quella del diritto partivano da una comune radice storica e concettuale, non può dunque sorprendere come contraddizioni e aporie permangano, nella Cina di oggi, nel pensare la giustizia e il suo realizzarsi e praticarsi attraverso la legge.  D’altronde, come è stato notato altrove, la riflessione sulla giustizia nell’ambito degli studi legali e giuridici è, in Cina, un apporto recente, derivato in primo luogo dall’influenza occidentale.1)Cfr. Deborah Cao, Chinese Language in Law. Code Red (Laham, Boulder: Lexington Books, 2014).

I saggi raccolti in questo numero si pongono sulle tracce della nozione di giustizia nella cultura cinese da prospettive metodologiche e scientifiche diverse, contribuendo a mettere in luce la complessità di significati che si coagulano attorno all’idea stessa, alle immagini e alle parole che cercano di definirne i contorni e alle pratiche legali, sociali e religiose attraverso cui nella Cina di oggi e di ieri si rifletteva o modellava il rapporto con la legge.

Come ci ricorda Flora Sapio, la concezione di giustizia contenuta nel simbolo cinese dell’amministrazione della legge nella Repubblica Popolare Cinese presuppone non tanto il principio di dare a “ciascuno il suo” quanto di distinguere, con uno sguardo limpido, il colpevole dall’innocente, chi ha violato la norma da chi non l’ha fatto e ne ha subito un danno. Ricostruendo il mito del xiezhi, l’animale capace di riconoscere il vero dal falso nei casi criminali dubbi che è divenuto emblema dell’amministrazione della legge come prerogativa del potere dello Stato fin dai tempi più antichi, Sapio delinea la cornice culturale in cui il compito del giudice si incardina nella Repubblica Popolare Cinese, che è idealmente chiamato a restituire una verità oggettiva che non può essere solo l’esito di un meccanismo processuale di accertamento della stessa.  Verità oggettiva che è confermata da quella idea di “dritto” (zheng 正) contenuta nel concetto di giustizia che, nell’analisi di Michele Mannoni, si antepone alla “stortura” e al buio dell’ingiustizia, veicolati dalle metafore relative ai due concetti nel linguaggio cinese. Con l’importante annotazione che, di fatto, entrambi i termini di giustizia e ingiustizia non appartengono al lessico giuridico neppure nella Cina di oggi, lessico che sembra non comprendere, al suo interno, quel senso di cosa sia giusto o non lo sia che è vivo, invece, nell’universo linguistico e culturale cinese.

Se la parola per giustizia è zhengyi, è al carattere di yi e quindi al “senso del giusto” sul piano morale nell’immaginario letterario cinese e alla sua evoluzione nel tempo che rivolge la sua attenzione Gaia Perini. Attraverso una disamina del modo in cui l’idea di yivive nel romanzo cinese, la giustizia definisce i legami di fratellanza che i suoi protagonisti costruiscono e difendono con la loro vita. Perini ci ricorda, dunque, che il senso del giusto ha albergato, nell’universo culturale cinese, ai margini del potere costituito, anche al di fuori della legge o a prescindere dalla legge, in quanto in primo luogo scelta individuale di fedeltà a principi di condivisione e fratellanza non assimilabili ai legami familiari e politici e persino alle norme sociali morali ordinarie sancite dall’amministrazione della legge.

Se l’ideologia confuciana ha, come è noto, plasmato i codici legislativi in epoca imperiale, il difficile rapporto fra giustizia in quanto ordine morale da un lato e applicazione della legge dall’altro è, sotto un’altra prospettiva, indagato dal saggio di Alessandro Tosco. Attraverso i libretti teatrali di epoca Yuan che hanno come protagonista il famoso giudice Bao il contributo delinea come la realizzazione della giustizia nelle sue forme della retribuzione e della correzione degli errori fra gli uomini potesse essere garantita solo attraverso la giustezza morale da parte del funzionario, se non anche dall’intervento divino. Alla legge, che può essere manipolata dagli spiriti corrotti per interesse personale, si contrappone una pratica della giustizia, del ristabilire un ordine morale, che prescinde anche dal rispetto delle regole stesse.

Il numero, infine, è arricchito da due saggi dedicati al rapporto fra giustizia, legge e religione, tradotti e abbreviati dagli originali in lingua inglese. Il contributo di Paul Katz, tradotto da Maria Lucia Metelli e Nicola Battistini, descrive come la relazione dei cinesi con la giustizia intesa come pratica destinata ad accertare una verità dei fatti, ristabilire l’ordine e a compensare i torti, abbia incluso e includa tuttora, nella prospettiva di quello che lui stesso definisce un continuum giudiziario, rituali a carattere religioso nei templi. La dimensione religiosa dunque, va considerata parte integrante della cultura giuridica e legale cinese, che non può essere ridotta alla sua mera dimensione amministrativa e al rispetto dell’etica confuciana. Infine, il saggio di Vincent Goossaert, tradotto da Massimiliano Portoghese e Matteo Sgorbati, guarda al rapporto fra religione e legge da una prospettiva inversa, cogliendo i riflessi che la sistematizzazione e amministrazione burocratica del vivere sociale umano costruita attraverso i codici giuridici imperiali ebbero, nella prima età moderna, sui rituali e l’elaborazione dei codici morali nel Daoismo, attraverso la produzione e l’applicazione di cosiddetti Codici Divini e dei libri morali come guide all’autocoltivazione.

De Giorgi, Del giusto PDF

Laura De Giorgi insegna Storia della Cina all’Università Ca’ Foscari Venezia. I suoi interessi vertono sulla storia moderna e contemporanea, e in particolare sulla storia sociale e culturale, i media e la propaganda, le interazioni fra la Cina e il mondo esterno nel Ventesimo secolo, non disdegnando però qualche incursione nel Ventunesimo.

References
1 Cfr. Deborah Cao, Chinese Language in Law. Code Red (Laham, Boulder: Lexington Books, 2014).