In cinese moderno il termine per indicare la natura, intesa come “sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi” (Treccani), è daziran 大自然. Si tratta di un termine moderno, entrato nell’uso con questa connotazione alla fine del XIX secolo, per quanto ispirato a una concezione antica del mondo naturale. Ziran letteralmente significa “esseretale di per sé” e, quando si riferisce all’ordine naturale del cosmo, è spesso tradotto con “spontaneità” o “naturalezza”. Per quanto non sia un termine squisitamente daoista, ricorrendo con connotazioni diverse anche negli scritti legalisti e di altri filosofi, è indubbio che ziran rappresenta uno dei concetti centrali del Laozi, del Zhuangzi e dei loro eredi, dove designa un aspetto del Dao, descrive il naturale fluire delle “diecimila entità e processi” nel mondo ed è alla base della condotta ideale del saggio. Nel pensiero della Cina antica, altri termini che si intersecano all’idea di ordine cosmico sono tian 天 (“cielo”), li 理 (“principio”) e qi 氣 (“soffio/energia vitale”). Nelle arti tradizionali, infine, il paesaggio naturale è indicato dal binomio shanshui 山水 (lett. “monti e acque”).
Questa concezione della natura, che presuppone l’armonia tra uomo e ambiente fisico circostante e implica una costante relazione e interdipendenza tra macrocosmo e microcosmo, rimase un modello cui aspirare nella coltivazione individuale e nella sfera pubblica durante gran parte del periodo imperiale. Come spiega efficacemente Daniele Brombal, tuttavia, questo non si tradusse generalmente in una sua applicazione nelle “politiche ambientali” tipiche della Cina tradizionale, che erano spesso lungi dall’essere “ecologiche”.
La medesima visione olistica della natura è riproposta oggi nei più svariati ambiti (artistico, ideologico, letterario, politico, religioso, scientifico ecc.), intrecciata a nuovi modelli del rapporto fra uomo e natura originati in Occidente e a una nuova sensibilità per la distruzione ambientale portata con sé dalla modernizzazione. Di recente si è così affermata la tendenza ad assimilare il concetto di natura a quello di “ecologia” (shengtai 生態) e di “ambiente” (huanjing 環境), con una crescente preoccupazione per la sua tutela (huanbao 環保). In termini generali, le idee tradizionali sulla natura sono state rivisitate in chiave moderna e spesso caricate di una retorica strumentale all’agenda politica.
In questo numero di Sinosfere ci siamo proposti di indagare le principali concezioni della natura diffuse nel mondo cinese, cercando di mettere in evidenza il loro legame con le visioni tradizionali e di comprenderne le implicazioni e l’impatto sulla realtà contemporanea. Per farlo, ci siamo rivolti a studiosi di diversa formazione (studiosi della Cina antica e moderna, di antropologia, architettura, relazioni internazionali e arti visive), capaci di affrontare il tema da prospettive diverse pur mantenendo il focus su prospettive d’indagine comuni. Fra i motivi ricorrenti spiccano il tema della rivendicazione di un’origine cinese per le moderne concezioni ecologiche e quello del tentativo di far convivere le idee tradizionali sul rapporto tra uomo e natura con i più recenti sviluppi scientifici. Molti autori hanno inoltre riscontrato una tendenza a evidenziare il potenziale apporto delle idee tradizionali cinesi alla cultura ambientalista mondiale, con evidenti ricadute in termini di soft power culturale interno e internazionale.
Il numero è aperto da Maurizio Paolillo, cui è spettato l’arduo compito di rintracciare le radici della presunta “concezione cinese della natura” nella Cina antica. Paolillo dimostra quanto la rappresentazione del Daoismo come “deposito dottrinale di ambientalismo ante litteram” sia espressione di un discorso moderno, pronunciato da attori diversi e con diverse finalità. In sintesi, il saggio definisce i principi fondanti del pensiero cosmologico cinese eli mette in relazione con le loro rivisitazioni contemporanee, come l’idea di una difesa ambientale di stampo daoista, sostenuta dalla Associazione Daoista della Cina e da istituzioni internazionali come la Alliance of Religions and Conservation, e quella di una “civiltà ecologica” promossa da Xi Jinping.
Nel suo contributo sull’Antropocene cinese, Daniele Brombal spiega come le istituzioni cinesi mettano in atto politiche volte a mitigare i danni causati dall’uomo sull’ambiente attraverso l’investimento di capitali e l’uso di tecnologie ad hoc, piuttosto di adottare misure per la salvaguardia della natura che mettano a rischio l’attuale stile di vita improntato sul benessere materiale. Il tutto avviene in assenza di un efficace movimento delle forze sociali e di organizzazioni non governative che riescano a mettere in discussione le regole vigenti. Brombal riflette anche su come le politiche “sviluppiste, antropocentriche e tecnocratiche” di oggi non siano discontinue rispetto al passato e, in linea con quanto affermato da Paolillo, sottolinea la necessità di ridimensionare la valenza ecologica tradizionalmente associata al pensiero filosofico antico.
Le implicazioni politiche del concetto di “civiltà ecologica”, già comparso nei due saggi precedenti, sono indagate nel dettaglio da Carlotta Clivio, che presenta in particolare le interpretazioni in merito di due diverse istituzioni governative (NDRC e MEEN).Elemento costitutivo del “Pensiero di Xi Jinping”, la civiltà ecologica attinge alla tradizione per dimostrare come la Cina, a differenza dell’Occidente, abbia storicamente attuato misure di protezione dell’ambiente. Essa si pone, così, come potenziale alternativa rispetto all’ambientalismo liberista che, dagli anni novanta, determina le politiche ambientali globali.
L’architetto Bianca Maria Rinaldi ci presenta l’interessante caso dei nuovi parchi urbani, che figurano tra le strategie di urbanizzazione sostenibile messe in atto per contrastare la profonda crisi ambientale che la Cina si trova ad affrontare dopo decenni di massiccio sviluppo industriale. Concepiti come “dispositivi per mitigare il rapporto conflittuale della città con l’ambiente”, questi parchi, le cui radici affondano nella tradizione del giardino cinese, rappresentano un tentativo di creare un dialogo tra l’approccio della cultura ambientalista internazionale e i valori tradizionali di armonia tra uomo e natura.
Con un contributo squisitamente antropologico, Daniele Parbuono ci introduce al caso dell’ecomuseo del villaggio di etnia Dong di Tang’an (Guizhou) e ci mostra come gli ecomusei cinesi, a differenza di quelli europei, siano realizzati primariamente per attrarre flussi turistici e vadano quindi intesi come luoghi di “intrattenimento ecologico”. Questi spazi, in cui le minoranze nazionali sono associate all’ideale di ambiente incontaminato in una strumentale contrapposizione città-campagna, trasmettono la visione nostalgica di una natura ancora “sostenibile” dove non si è prodotta alcuna frattura tra uomo e ambiente.
La propaganda governativa eco-ambientalista emerge anche nel saggio di Giovanna Puppinsulla pubblicità sociale, uno strumento utilizzato in Cina per promuovere linee politiche e ideologiche. Le tre immagini analizzate, tratte dalla campagna per la tutela ambientale dal titolo “Il Paesaggio” (Shanshui pian), si presentano come esempi di pittura paesaggistica tradizionale, se non fosse per i loro elementi compositivi, costituiti dai simboli stessi della distruzione ambientale. Queste pubblicità, in cui smog, casermoni e tralicci prendono il posto di nebbia, montagne e alberi, sono un’efficace dimostrazione di come le città stiano soverchiando la natura.
L’importanza assunta dalle tematiche ecologiche nella Cina dell’ultimo decennio si riflette anche nel caso indagato da Paolo Magagnin sullo sviluppo dell’Eco-traduttologia, unanuova corrente teorica squisitamente cinesein cui la natura, anziché essere oggetto di riflessione, funge da metafora dell’attività traduttiva. Le idee sulla natura che vi si riscontrano sono una fusione tra la visione olistica di matrice cinese e la teoria evoluzionistica darwiniana, con un’evidente tendenza all’indigenizzazione degli elementi importati e, allo stesso tempo, una “vocazione globale”.
Il contributo di Barbara Bisetto è dedicato alla natura come soggetto della poetica tradizionale cinese e si sofferma in particolare sul tema del rapporto tra uomo e natura. Attraverso una selezione di componimenti antichi, elegantemente tradotti per la prima volta in italiano, il saggio ci mostra come nella poesia di paesaggio cinese, caratterizzata dal costante intreccio tra sentimento (qing 情) e paesaggio (jing 景), il funzionamento della natura sia inteso come “espressione delle verità della vita”.
Ritroviamo il motivo della descrizione della natura come funzionale all’espressione delle emozioni umane nel contributo di Luca Pisano sulla narrativa taiwanese moderna incentrata sul fiume Tanshui. Il fiume ha fatto da scenario a molteplici opere narrative, poetiche o di saggistica, ponendosi – in particolare nell’immediato dopoguerra – come simbolo della tensione tra amore e odio,con un’enfasi particolare sul legame tra il fiume e il mondo delle tenebre.
L’isola di Taiwan è al centro anche del contributo di Federica Passi sulla letteratura naturalistica taiwanese. L’eco-criticism, un ambito di ricerca che esplora il rapporto tra letteratura e natura in chiave ecologico-ambientalista nato in America negli ultimi decenni del secolo scorso, presenta nella sua variante taiwanese caratteristiche fortemente identitarie, che tendono a mettere in discussione l’adesione al modello culturale “cinese”, mirando al contempo, come in analoghi casi cinesi (si veda il contributo di Magagnin), a portare un contributo teorico alla discussione globale.
Attilio Andreini completa il quadro riportandoci alle origini con un’analisi delle occorrenze del termine oggi impiegato per indicare la natura, ziran, negli scritti legalisti e in svariate fonti filosofiche antiche. Il saggio dimostra che in questi contesti il concetto di ziran implica determinatezza e ineluttabilità ed evidenzia quanto esso sia lungi dal riferirsi allo spontaneo e armonico fluire della natura cui allude la sua rivisitazione moderna.
A fare da sfondo alla nostra carrellata di contributi sulla natura pubblichiamo una selezione di immagini a opera della fotografa britannico-cinese Yan Wang Preston. Come spiega la stessa Wang nel breve saggio di accompagnamento, con il progetto “Forest” ha voluto immortalare le politiche di rimboschimento implementate a Chongqing e nella nuova Dali (Yunnan), “città ecologiche modello” in cui si assiste alla paradossale creazione artificiale di un ambiente naturale.
Nel loro complesso i saggi di questo numero creano un intreccio sfaccettato di motivi ricorrenti (l’enfasi sulle radici cinesi, la contrapposizione con l’Occidente, l’accostamento di natura e tecnologia, l’uso propagandistico o politico delle concezioni tradizionali, ecc.), restituendoci – almeno così ci sembra – un’immagine articolata e non stereotipata del rapporto tra uomo e natura nel mondo cinese di oggi.

Bianchi, spontaneo è il modo del dao PDF

Immagine: “Il Dao ha come modello ciò che così-è, da sé” (dal Daodejing, traduzione di Attilio Andreini). Calligrafia di Zhao Puchu esposta nel tempio daoista Baxiangong, Xi’an, foto Arianna Rinaldo.

Ester Bianchi insegna religioni e filosofia della Cina e società e cultura cinese all’Università degli studi di Perugia. La sua ricerca verte sulle religioni cinesi, che indaga con le modalità della ricerca filologica e storico-religiosa. Nei suoi studi analizza in particolare aspetti del Buddhismo cinese e sino-tibetano, adottando di preferenza una prospettiva diacronica che metta in dialogo il presente (Cina continentale e Taiwan) con il proprio passato (Cina imperiale e Repubblica di Cina).