L’Antropocene è definito dall’assurgere del genere umano a maggiore forza ambientale del pianeta. Gli atteggiamenti possibili per fronteggiare questa nuova epoca sono compresi fra due estremi: da un lato, una consapevole temperanza nei confronti della natura, possibile a costo di una trasformazione di valori individuali, norme sociali e regole condivise. Implicita in questa visione è la necessità di abbreviare quanto più possibile la durata dell’Antropocene. Dall’altro, la posizione di quanti – e sono i più – preferirebbero fare ampio ricorso a capitali e tecnologia per mitigare i danni arrecati dagli esseri umani all’ambiente naturale, così da poter continuare a perseguire un orizzonte di crescente benessere materiale. La relazione fra esseri umani e natura nella Cina di oggi è complessivamente improntata a questo secondo orientamento. Le istituzioni dominanti nel paese sono sviluppiste, antropocentriche e tecnocratiche, ancorché sensibili alla necessità di una difesa selettiva dell’ambiente. La Cina è probabilmente destinata a divenire l’interprete più ortodossa dell’Antropocene, l’epoca dell’uomo.

Introduzione

Il 2019 sarà un anno da ricordare per il cinema di science-fiction cinese, grazie al successo del film “The Wandering Earth” (liulang diqiu 流浪地球). Il film racconta il tentativo di salvare la Terra dall’evoluzione del Sole in una gigante rossa, destinata nella sua espansione ad assorbire, distruggendolo, il nostro pianeta.1)Ciò dovrebbe accadere nella realtà fra circa 5 miliardi di anni. Uniti dinanzi alla catastrofica minaccia, i governi terrestri decidono di unire le forze per rimuovere il pianeta dalla propria orbita, con l’ausilio di propulsori a fusione nucleare. La Terra intraprende così un viaggio nello spazio profondo, verso un nuovo e più accogliente sistema solare. Nell’attesa che il viaggio abbia termine, l’umanità sopravvive in città costruite nel sottosuolo, dove gli scienziati hanno ricreato artificialmente i servizi eco-sistemici a sostegno della vita umana. All’avanguardia di questo sforzo non sono, come di consueto, gli statunitensi, ma – mutatis mutandis – i cinesi.
Non rivelerò l’epilogo del film, né le complicazioni al piano di rilocazione planetaria che ne intessono la trama. La ragione per cui trovo interessante la narrazione della Terra errante è piuttosto la sua capacità di rispecchiare fedelmente l’assunto scientifico alla base dell’Antropo-cene,2)Paul J. Crutzen, “Geology of Mankind,” Nature, 415, 2002, 23. ovvero l’assurgere del genere umano a maggiore forza ambientale del pianeta. Grazie alla tecnologia, l’umanità sarebbe divenuta tanto potente da dare il proprio nome a una nuova epoca geologica, il cui inizio è convenzionalmente individuato con l’avvio della Rivoluzione Industriale. Nelle prossime pagine delineerò il carattere delle istituzioni socio-ecologiche della Cina continentale in questa nuova epoca. Cercherò inoltre di  tratteggiarne la rilevanza per il futuro della civiltà umana, intesa quale prodotto dell’interazione fra esseri umani e natura.3)Wolf Schäfer, “Reconfiguring Area Studies for the Global Age”, Globality Studies Journal, 22, 2010.

L’attuale condizione delle relazioni socio-ecologiche in Cina ha radici profonde

La comprensione dello stato attuale delle relazioni socio-ecologiche in Cina non può prescindere da una disamina storica. A riguardo, tendiamo spesso a descrivere i malanni dell’ambiente cinese quale frutto di eventi recenti. I più frettolosi li riconducono alle politiche industriali successive al 1978. I più accorti ne rintracciano le origini in quella che Judith Shapiro definisce la “guerra di Mao” alla natura.4)Judith Shapiro, Mao’s War Against Nature: Politics and the Environment in Revolutionary China (Cambridge: Cambridge University Press, 2001). Ancorché condivisibili, entrambe queste posizioni sono parziali. La letteratura nel campo della storia ambientale dimostra come la civiltà cinese5)Faccio qui riferimento al baricentro storico della civiltà cinese, localizzabile fra i bacini dello Yangzte e del Fiume Giallo, sino ai bassopiani della Cina settentrionale. fosse segnata sin dall’epoca premoderna da una profonda dicotomia fra esseri umani e natura, nonché da pratiche di sviluppo insostenibili.6)Mark Elvin, “Three Thousand Years of Unsustainable Growth: China’s Environment From Archaic Times to the Present”, East Asian History, 6, 1993, 7-46. Parimenti, la valenza ecologica tradizionalmente associata al pensiero filosofico antico, specie taoista, è stata di recente ridimensionata,7)Paul R. Goldin, “Why Daoism is not Environmentalism”, Journal of Chinese Philosophy, 32, 1, 2005, 75-87. anche in virtù dell’uso strumentale del retaggio filosofico per legittimare un rapporto estrattivista con la natura. Un approccio evidente, quello estrattivista, è riscontrabile nelle norme e pratiche dello sviluppo esposte da Karl August Wittfogel nel suo celebre volume Oriental Despotism (1957). Secondo Wittfogel, la civiltà cinese sarebbe stata caratterizzata da una gestione statale centralizzata ed efficientista delle risorse naturali – specie idriche – resa possibile da un controllo capillare delle risorse umane.8)Karl August Wittfogel, Oriental Despotism. A Comparative Study of Total Power, (New Haven and London: Yale University Press, 1957). In termini di relazioni socio-ecologiche, ciò comportava un duplice attributo: il dominio dell’uomo sulla natura e il controllo gerarchico dell’uomo sui propri simili.
Tali caratteri sono divenuti più evidenti con l’avvento della modernità. Questa ha esacerbato la radice antropocentrica della cultura dominante, mentre il progresso tecnologico ha conferito strumenti sempre più potenti di trasformazione della natura. Lo stesso movimento del 4 maggio 1919 contribuisce a rafforzare questi elementi: nel rifiutare il retaggio della tradizione, intellettuali e attivisti/e sposano il ruolo di scienza e tecnologia quali strumenti privilegiati di modernità, capaci di trasformare condizioni e prospettive dell’esistenza umana.9)Jonathan Spence, The Search for Modern China (New York: W.W. Norton and Company, 1999). Va altresì precisato che alcuni intellettuali tentarono di resistere all’antropocentrismo insito nel movimento del 4 maggio; vedi ad esempio Tu Weiming, “The Ecological Turn in New Confucian Humanism: Implications for China and the World”, Daedalus, Fall, 2001, 243-264. Il periodo maoista (1949-1976/78) rappresenta in tal senso una formidabile epoca di transizione. Promuove la definitiva marginalizzazione degli elementi della cultura e società tradizionali che – pur se già minoritari come citato poc’anzi – dimostravano un certo grado di consapevolezza ecologica.10)Judith Shapiro, Mao’s War. Sul fronte tecnologico, l’ingresso nel novero delle potenze nucleari nel 1964 rappresenta un radicale cambiamento nella capacità cinese di manipolare e trasformare la natura, con una forte valenza pratica e simbolica. Del resto, nello stesso periodo già iniziavano a essere evidenti le conseguenze del crescente inquinamento di origine agricola e industriale.11)Richard Sanders, “The Political Economy of Chinese Environmental Protection: Lessons of the Mao and Deng Years”, Third World Quarterly, 20, 6, 1999, 1201-1214. Da molti punti di vista, la politica del figlio unico è la sintesi di questi elementi. Criticata in Occidente quale lesiva di diritti inalienabili, essa rappresenta storicamente la prima politica per la sostenibilità di ampio respiro adottata dalla Repubblica popolare cinese (Rpc). Sul piano concettuale tale politica sposa l’approccio neo-malthusiano tipico dell’epoca, esposto magistralmente dall’ecologo Garrett Hardin nel suo celebre articolo “The Tragedy of Commons” (1968), secondo cui la soluzione al problema delle risorse risiederebbe in un cambiamento radicale della moralità, specie in merito alla procreazione.12)Garrett Hardin, “The Tragedy of Commons”, Science, 162 (3859), 1243-1248. In termini pianificatori, la Cina adotta altresì l’approccio proposto nel 1972 dal Club di Roma nel “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, teso a definire matematicamente l’optimum demografico tramite l’ausilio di raffinata modellistica.13)Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, The Limits to Growth (New York: Universe Books, 1972).
Se quello maoista rappresenta un periodo dove compaiono tendenze destinate a caratterizzare i decenni seguenti – ivi incluso un rinnovato scambio scientifico con l’Occidente – è altrettanto chiaro come il periodo successivo al 1978 abbia comportato l’accelerazione del degrado nelle relazioni socio-ecologiche e della distruzione ambientale. Sino a tempi molto recenti, l’atteggiamento di temperanza presente in nuce nella politica del figlio unico non si è tradotto in un’attenzione sistemica all’ambiente. Al contrario, i quarant’anni appena trascorsi sono stati caratterizzati da istituzioni – valori, norme e regole – ferocemente sviluppiste. È al servizio dello sviluppo che larga parte dei processi politici, economici, socioculturali e tecnologici sono stati posti.Ciò ha avuto due conseguenze: un progresso materiale senza precedenti nella storia dell’umanità da un lato, combinato a un altrettanto smisurato processo di devastazione ambientale dall’altro. I dati sull’inquinamento di aria, acqua e suolo14)Sull’inquinamento di aria e acqua, vedi i dati riportati dall’Institute for Environmental and Public Affairs (http://wwwen.ipe.org.cn/) e dal China Water Risk (http://www.chinawaterrisk.org/). Sull’inquinamento del suolo, vedi: Daniele Brombal, Haiyan Wang, Lisa Pizzol, Andrea Critto, Elisa Giubilato, Guanlin Guo, “Soil Environmental Management Systems for Contaminated Sites in China and the EU. Common Challenges and Perspectives for Lesson Drawing”, Land Use Policy, 48, 2015, 286-298. restituiscono una situazione drammatica, come del resto quelli relativi alla catastrofica perdita di biodiversità,15)Jinxing He, Chuan Ya, Marcel Holyoak, Xinru Wan, Guoyu Ren, Yangfang Hou, Yan Xie, Zhibin Zhang, “Quantifying the Effects of Climate and Anthropogenic Change on Regional Species Loss in China”, PLoS ONE13, 7, e0199735, 2018. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0199735. una conseguenza spesso sottovalutata dell’espansione urbanistica, industriale e infrastrutturale. A ciò si aggiunga che la Cina è divenuta oramai il maggiore paese emettitore di gas climalteranti.

Alla ricerca dello sviluppo sostenibile, in Cina come altrove

I processi di degrado ambientale avvenuti in Cina negli ultimi anni non hanno precedenti. Ciò è stato causato sia dalla rapidità e ampiezza dei processi di riforma economica e industriale che dalle dimensioni demografiche del paese. Tuttavia, sarebbe scorretto attribuirne responsabilità alla sola Cina. L’esempio più immediato è rappresentato proprio dalle emissioni di gas serra, citate poc’anzi. Secondo il Worldwatch Institute, un terzo delle emissioni made in China sarebbero riconducibili alla produzione di beni destinati ai mercati esteri, in primis europeo e statunitense. Cosa più interessante ai fini della nostra trattazione, i fenomeni brevemente descritti alla fine del paragrafo precedente non hanno radici qualitativamente diverse rispetto a quanto avvenuto in Occidente. Sul piano valoriale, la priorità riservata al progresso materiale in seno all’idea di creare una “società moderatamente prospera” (xiaokang shehui 小康社会) tanto cara a Deng Xiaoping non è dissimile al rilievo attribuito in Occidente alla crescita degli indicatori di benessere economico, in particolare durante quella che lo storico Eric Hobsbawm definisce “età dell’oro” (1945-1971/3).
Parimenti, esistono somiglianze con le ricette messe in campo per mitigare i danni all’ambiente e garantire sostenibilità allo sviluppo. Sin dagli anni dell’esecutivo Hu-Wen (2002-2012), Pechino ha intrapreso riforme orientate a una “visione scientifica dello sviluppo” (kexue fazhanguan 科学发展观), ovvero capace di coniugare crescita economica, maggiore equità sociale e salvaguardia dell’ambiente. Questi elementi sono stati ripresi dall’attuale gruppo dirigente guidato da Xi Jinping, amplificando l’enfasi sugli aspetti ambientali. Non a caso, le politiche per la sostenibilità vengono oggi inquadrate in Cina nella realizzazione di una “civiltà ecologica” (shengtai wenming 生态文明). A prescindere dalle definizioni, l’approccio cinese è ispirato all’idea di crescita verde largamente diffusa in Europa e – nonostante le posizioni di Trump e parte dell’establishment repubblicano – negli Stati Uniti. Questa concezione si basa su una visione debole della sostenibilità, secondo cui l’impiego oculato di capitali e tecnologia, coniugato a lievi modifiche negli stili di vita e di consumo, sarebbero sufficienti a mitigare o rimediare ai danni causati agli ecosistemi dal nostro modello di sviluppo. Alla base della sostenibilità debole vi è l’accettazione dell’inevitabilità di un certo livello di degrado ambientale, al fine di garantire il costante accrescimento del nostro benessere materiale. Questa concezione si è tradotta in Cina in diffusi cambiamenti strutturali, riassumibili nei punti seguenti: (a) sviluppo di un vasto apparato di leggi, regolamenti e standard per la gestione ambientale; (b) processi di innovazione tecnologica, tesi a ridurre l’impatto della produzione energetica, industriale e della mobilità; (c) la creazione di incentivi economici e istituzionali  per la creazione di un apparato industriale e di un mercato ‘verdi’. Questi processi sono stati perseguiti sia a livello centrale sia a livello locale: province e città hanno svolto un ruolo importante nell’innescare processi di innovazione istituzionale.16)Daniele Brombal e Angela Moriggi, “Institutional Change in China’s Sustainable Urban Development: A Case Study on Urban Renewal and Water Environmental Management,”China Perspectives 1, 2017, 45-56. Sostenibilità debole e crescita verde rappresentano inoltre un importante punto di convergenza fra la Cina e i suoi partner internazionali. In tempi recenti, ciò ha avuto conferma con il memorandum d’intesa Italia-Cina  sulle vie della seta, dove l’impegno per lo sviluppo sostenibile riveste un ruolo rilevante – ancorché ad oggi non sostanziato da fatti concreti.

Le visioni alternative in Cina scarseggiano, anche fra gli attivisti

Cercare in Cina delle alternative al modello di sviluppo corrente è un’impresa difficile. Lo stesso attivismo ambientale, nonostante abbia avuto un ruolo importantissimo nel generare consapevolezza ambientale, deve scendere a patti con l’ottica sviluppista delle élite politiche ed economiche. Un valido esempio è la battaglia fondativa dell’ambientalismo cinese, quella contro lo sfruttamento idroelettrico dei fiumi.Come illustrato da Andrew Mertha nel suo volume China’s Water Warriors (2008), le rivendicazioni degli ambientalisti hanno possibilità di successo solo qualora siano formulate secondo la narrazione del Partito-Stato, ovvero in termini di sviluppo e uso strumentale – seppur oculato – della natura. Viceversa, sono destinate a essere sconfitte o pesantemente ridimensionate.17)Andrew Mertha, China’s Water Warriors. Citizen Action and Policy Change (Ithaca & London: Cornell University Press, 2008). Non sfuggono a un approccio antropocentrico le forme di attivismo e comunicazione tese alla difesa della salute umana – specie materno-infantile – come il famoso documentario “Under the Dome” (qiongding zhixia 穹顶之下) della giornalista d’inchiesta Chai Jing. Nel complesso, l’ambientalismo cinese è orientato a un cambiamento incrementale e alla difesa dei diritti individuali sanciti dalle leggi vigenti. Questo orientamento è se possibile ancor più evidente nelle mobilitazioni ispirate allo slogan “dobbiamo combattere con i dati” coniato dal giornalista e attivista Ma Jun, reso celebre all’estero dall’intervista resa a Leonardo Di Caprio nel documentario “Punto di non ritorno” (Before the Flood). Nel 2006, Ma Jun e l’Institute of Public and Environmental Affairs (gongzhong huanjing yanjiu zhongxin公众环境研究中心)18)La pagina internet è reperibile alla URL  http://wwwen.ipe.org.cn/ da lui fondato hanno inaugurato un approccio alla lotta ambientalista basato su raccolta, analisi e pubblicazione sistematica dei dati di monitoraggio della qualità di acqua e aria. Anche grazie a questi sforzi, la partecipazione pubblica al monitoraggio ambientale è oggi ritenuta da Pechino un valido strumento per rafforzare la gestione ambientale e garantire il rispetto delle regole da parte di aziende e autorità locali.19)Daniele Brombal, “Is Fighting with Data Enough? Prospects for Transformative Citizen Science in the Chinese Anthropocene”, Journal of Environmental Planning and Management, 2019, https://doi.org/10.1080/09640568.2019.1641071.
Il punto è proprio questo: per quanto svolgano un ruolo positivo, queste forme di partecipazione civile rischiano di trasformare gli attivisti in garanti del rispetto delle regole vigenti e dell’apparato di istituzioni che le legittima e produce, anziché agenti della loro trasformazione.20)Daniele Brombal, “Is Fighting with Data Enough?”. Il dibattito ambientale cinese ha tutt’altro tenore rispetto a quello internazionale. In particolare, sono marginali le voci ispirate a concezioni di sostenibilità forte, che attribuiscano alla natura un valore intrinseco, non sostituibile dal capitale economico né ricreabile tramite la tecnologia. Al contrario, l’Europa è oggi terreno fertile per queste voci: l’esempio più noto e dibattuto in questi giorni è il movimento Fridays For Future,21)Qui è accessibile una mappa degli scioperi censiti dal movimento: https://www.fridaysforfuture.org/events/map. Fra i maggiori paesi inquinatori, colpisce l’assenza della Cina continentale. ispirato dalla svedese Greta Thunberg. Altri movimenti molto vivaci includono l’Extinction Rebellion inglese e, su scala più locale, quello in difesa della foresta di Ambach, in Germania. Sulla scorta di dati scientifici, questi movimenti condividono la necessità di una trasformazione sistemica, che coinvolga innanzitutto la sfera cognitiva ed emotiva, ivi inclusi i valori che ispirano la condotta individuale e orientano le relazioni comunitarie e sociali. In ciò è sottesa una visione avversa all’antropocentrismo e al suo corollario contemporaneo, lo sviluppismo. Il punto d’approdo prefigurato da questi movimenti sembrerebbe essere un’epoca di nuova temperanza di donne e uomini nei confronti della natura, ovvero il superamento radicale dell’Antropocene, la cui durata andrebbe quanto più possibile limitata.22)Susanne Moser, Keynote SUSPLACE Final Event. Presentazione resa in Tampere (Finlandia) il 10 maggio 2019.
Non che in Europa o altrove queste visioni siano dominanti. Tuttavia esistono, crescono e contribuiscono a spostare il baricentro della dialettica socio-ecologica verso obiettivi più ambiziosi. Ciò non vale per la Cina, dove queste istanze sono poche, marginalizzate e sostanzialmente ininfluenti sul piano politico.23)Un indicatore utile è quello relativo alle manifestazioni per il clima organizzate dagli attivisti di Fridays for Future, che faticano ad affermarsi in Cina (pur non essendo del tutto assenti). Si veda in merito l’elenco aggiornate degli scioperi qui: https://www.fridaysforfuture.org/events/list Birdwatcher, attivisti degli eco-villaggi, comunità a sostegno dell’agricoltura e indigene – giusto per menzionare alcune delle pratiche trasformative più promettenti e diffuse nel paese24)Daniele Brombal, “Is Fighting with Data Enough?”. – non possiedono in Cina una visione o agenda comuni. Considerata la temperie politica e culturale attuale, è improbabile riescano a farlo nel prossimo futuro.

La Cina e il nostro futuro comune

Il futuro socio-ecologico della Cina muove lungo il solco secolare di una visione sviluppista, antropocentrica e tecnocratica. Il futuro delle relazioni fra esseri umani e natura rimarrà ancorato all’obiettivo di generare crescenti livelli di benessere materiale, quale che ne sia poi la distribuzione. È un futuro dove alla cieca logica estrattivista affermatasi nella seconda metà del XX secolo si sostituirà un paradigma orientato alla salvaguardia selettiva degli ecosistemi, serbatoio di risorse e servizi necessari alla sopravvivenza degli esseri umani sulla Terra. Il modello di civiltà proposto dalla Cina è circoscritto dalla capacità e volontà umane di incidere in profondità nei meccanismi naturali,25)Paul J. Crutzen, “Geology”. attraverso l’uso della tecnologia e – qualora necessario agli occhi dei detentori del potere – rigide forme di controllo sociale.
È ragionevole ritenere che la Cina sia destinata a divenire l’interprete più fedele dell’Antropocene, l’epoca dell’uomo.

Brombal, L’antropocene cinese PDF

Immagine: Nuotatori nel fiume Xiangjiang, Changsha (2010), foto di Daniele Brombal

Daniele Brombal (daniele.brombal@unive.it) è ricercatore presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove insegna società, politica e lingua cinese. La sua ricerca si concentra sui cambiamenti istituzionali per la sostenibilità in Cina. Puoi trovare maggiori informazioni sul suo lavoro alla pagina web https://www.researchgate.net/profile/Daniele_Brombal.

 

References
1 Ciò dovrebbe accadere nella realtà fra circa 5 miliardi di anni.
2 Paul J. Crutzen, “Geology of Mankind,” Nature, 415, 2002, 23.
3 Wolf Schäfer, “Reconfiguring Area Studies for the Global Age”, Globality Studies Journal, 22, 2010.
4 Judith Shapiro, Mao’s War Against Nature: Politics and the Environment in Revolutionary China (Cambridge: Cambridge University Press, 2001).
5 Faccio qui riferimento al baricentro storico della civiltà cinese, localizzabile fra i bacini dello Yangzte e del Fiume Giallo, sino ai bassopiani della Cina settentrionale.
6 Mark Elvin, “Three Thousand Years of Unsustainable Growth: China’s Environment From Archaic Times to the Present”, East Asian History, 6, 1993, 7-46.
7 Paul R. Goldin, “Why Daoism is not Environmentalism”, Journal of Chinese Philosophy, 32, 1, 2005, 75-87.
8 Karl August Wittfogel, Oriental Despotism. A Comparative Study of Total Power, (New Haven and London: Yale University Press, 1957).
9 Jonathan Spence, The Search for Modern China (New York: W.W. Norton and Company, 1999). Va altresì precisato che alcuni intellettuali tentarono di resistere all’antropocentrismo insito nel movimento del 4 maggio; vedi ad esempio Tu Weiming, “The Ecological Turn in New Confucian Humanism: Implications for China and the World”, Daedalus, Fall, 2001, 243-264.
10 Judith Shapiro, Mao’s War.
11 Richard Sanders, “The Political Economy of Chinese Environmental Protection: Lessons of the Mao and Deng Years”, Third World Quarterly, 20, 6, 1999, 1201-1214.
12 Garrett Hardin, “The Tragedy of Commons”, Science, 162 (3859), 1243-1248.
13 Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, The Limits to Growth (New York: Universe Books, 1972).
14 Sull’inquinamento di aria e acqua, vedi i dati riportati dall’Institute for Environmental and Public Affairs (http://wwwen.ipe.org.cn/) e dal China Water Risk (http://www.chinawaterrisk.org/). Sull’inquinamento del suolo, vedi: Daniele Brombal, Haiyan Wang, Lisa Pizzol, Andrea Critto, Elisa Giubilato, Guanlin Guo, “Soil Environmental Management Systems for Contaminated Sites in China and the EU. Common Challenges and Perspectives for Lesson Drawing”, Land Use Policy, 48, 2015, 286-298.
15 Jinxing He, Chuan Ya, Marcel Holyoak, Xinru Wan, Guoyu Ren, Yangfang Hou, Yan Xie, Zhibin Zhang, “Quantifying the Effects of Climate and Anthropogenic Change on Regional Species Loss in China”, PLoS ONE13, 7, e0199735, 2018. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0199735.
16 Daniele Brombal e Angela Moriggi, “Institutional Change in China’s Sustainable Urban Development: A Case Study on Urban Renewal and Water Environmental Management,”China Perspectives 1, 2017, 45-56.
17 Andrew Mertha, China’s Water Warriors. Citizen Action and Policy Change (Ithaca & London: Cornell University Press, 2008).
18 La pagina internet è reperibile alla URL  http://wwwen.ipe.org.cn/
19 Daniele Brombal, “Is Fighting with Data Enough? Prospects for Transformative Citizen Science in the Chinese Anthropocene”, Journal of Environmental Planning and Management, 2019, https://doi.org/10.1080/09640568.2019.1641071.
20 Daniele Brombal, “Is Fighting with Data Enough?”.
21 Qui è accessibile una mappa degli scioperi censiti dal movimento: https://www.fridaysforfuture.org/events/map. Fra i maggiori paesi inquinatori, colpisce l’assenza della Cina continentale.
22 Susanne Moser, Keynote SUSPLACE Final Event. Presentazione resa in Tampere (Finlandia) il 10 maggio 2019.
23 Un indicatore utile è quello relativo alle manifestazioni per il clima organizzate dagli attivisti di Fridays for Future, che faticano ad affermarsi in Cina (pur non essendo del tutto assenti). Si veda in merito l’elenco aggiornate degli scioperi qui: https://www.fridaysforfuture.org/events/list
24 Daniele Brombal, “Is Fighting with Data Enough?”.
25 Paul J. Crutzen, “Geology”.