Il presente saggio esamina la costruzione del concetto di modello formulato durante la Rivoluzione Culturale (1966-76) attraverso le cosiddette “opere teatrali modello” (yangbanxi 样板戏) e la creazione di contro-modelli – nostalgici, satirici, critici – forgiati attraverso la decostruzione di queste opere nell’era postsocialista. L’analisi delle vite postume (afterlives) dei modelli del teatro rivoluzionario si concentra, in particolare, su un corpus di rivisitazioni contemporanee del balletto Il distaccamento femminile rosso (1964) che possono ritenersi sintomatiche di un discorso culturale più ampio. Se, da un lato, il fenomeno contemporaneo di rievocazione dell’eredità culturale e della memoria collettiva della rivoluzione stimola la produzione di storiografie e memorie alternative finalizzate a una critica dell’utopia socialista, dall’altro, manifesta anche un complesso e spesso contraddittorio impulso nostalgico nei confronti di suddetta utopia.

Introduzione: il modello e il suo doppio

 “Otto opere per ottocento milioni di persone” (ba yi renmin ba ge xi 八亿人民八个戏). Così recita un noto slogan dell’era della Rivoluzione Culturale (1966-76) che è spesso citato oggi per delineare la desolazione delle arti e della cultura nella Cina popolare (RPC) durante la fase più radicale del regime maoista. Tanto celebre quanto riduttivo, questo slogan riflette, in realtà, una visione semplicistica del panorama culturale del decennio rivoluzionario, limitando l’esperienza di milioni di cinesi a un numero ristretto di cosiddette “opere modello”.

Il termine “opere modello” (yangbanxi) si riferisce al repertorio comprendente otto nuove composizioni che il Quotidiano del Popolo (Renmin ribao 人民日报) designò ufficialmente“opere rivoluzionarie modello” (geming yangbanxi 革命样板戏) in un editoriale del 31 maggio 1967.1)“Geming wenyi de youxiu yangban” 革命文艺的优秀样板 [Modelli eccellenti di letteratura e arte rivoluzionarie], Renmin ribao, 31 maggio 1967. Il termine yangbanxi era già apparso nella stampa ufficiale nel 1965 in riferimento all’opera di Pechino moderna La Leggenda della Lanterna Rossa (Hongdeng ji 红灯记). Il corpus originario costituito da cinque opere di Pechino moderne (geming xiandai jingju 革命现代京剧), due balletti (geming xiandai wuju 革命现代舞剧), e una sinfonia (geming jiaoxiang yinyue 革命交响音乐) fu ampliato tra il 1967 e il 1975 fino ad annoverare dieci opere, quattro sinfonie, e quattro balletti rivoluzionari.2)Sulla natura restrittiva dello slogan sopraccitato si veda, ad esempio, Barbara Mittler, “‘Eight Stage Works for 800 Million People’: The Great Proletarian Cultural Revolution in Music – A View from Revolutionary Opera,” The Opera Quarterly 26, 2–3, 2010, 377–401. Per una lista completa delle diciotto opere ufficialmente incluse nel repertorio modello si veda Barbara Mittler, A Continuos Revolution: Making Sense of Cultural Revolution Culture (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2012), 394. Tra questi ultimi, Il distaccamento femminile rosso (Hongse niangzi jun 红色娘子军, 1964) è ancora oggi profondamente radicato nella memoria collettiva nazionale.

Ambientato sull’isola tropicale di Hainan, il balletto si basa sull’omonimo film di Xie Jin del 1961, a sua volta ispirato a versioni precedenti della vicenda dello storico battaglione femminile attivo a Hainan nei primi anni Trenta del Ventesimo secolo.3)Sulle versioni precedenti e successive al balletto del 1964 si veda Christine Harris, “Re-makes/Re-models: The Red Detachment of Women between Stage and Screen,” The Opera Quarterly 26, 2–3, 2010, 316342. La trama si incentra sulla trasformazione ideologica della giovane Wu Qinghua (interpretata da Xue Jinghua nella versione originale) da serva angariata dal malvagio signorotto locale e villain extraordinaire Nanbatian (il “Tiranno del Sud”) a stella fulgida della divisione femminile dell’esercito comunista ribelle grazie alla guida del valente commissario militare – e poi martire – Hong Changqing (Liu Qingtang nella versione originale). Oltre a godere di enorme popolarità – gli interpreti dei ruoli principali divennero celebrità nazionali e i costumi e le acconciature di scena dettarono la moda del tempo – Il distaccamento vanta una storia diplomatica notevole. L’episodio più conosciuto, anche grazie alla ricostruzione dell’evento nel secondo atto dell’opera lirica di John Adams e Alice Goodman, Nixon in China (1987), è la rappresentazione del balletto in onore di Richard Nixon durante la visita ufficiale del presidente statunitense a Pechino nel febbraio 1972. Nixon e la moglie Pat assistettero alla storica messinscena in compagnia di Jiang Qing, consorte di Mao Zedong, protagonista politica del decennio rivoluzionario e forza trainante dietro le yangbanxi.

Dopo una moratoria durata oltre un decennio nella Cina riformista post-Mao, la versione del 1964 fu reintrodotta nel repertorio del Balletto Nazionale della Cina (Zhongguo zhongyang baleiwu tuan 中国中央芭蕾舞团) nel 1992 e annovera oggi numerosi riconoscimenti e tournée nazionali e internazionali.4)Le rappresentazioni internazionali del balletto sono state talvolta causa di proteste e controversie, ad esempio negli Stati Uniti e in Australia. Si vedano, rispettivamente, Leo Timm, “Chinese Ballet at Lincoln Center Glorifies the Violent Class Struggle that Killed My Great-Grandfather,” Epoch Times, 17 luglio 2015, e Antonia Finnane, “The Red Detachment of Women marches forward – but to where?”, The Conversation, 16 febbraio 2017. Già nella decade rivoluzionaria il balletto fu al centro di una vigorosa campagna di popolarizzazione e, al pari delle altre yangbanxi, divulgato per mezzo di opere regionali, trasmissioni radiofoniche, film, dischi, fotografie, stampe, porcellane, poster, fumetti, filatelia, e quant’altro. Dagli anni Novanta Il distaccamento è stato, inoltre, soggetto di adattamenti televisivi, parodie popolari, citazioni letterarie e cinematografiche e sperimentazioni d’avanguardia, nonché di appropriazioni consumistiche da parte dell’industria culturale e turistica di massa.5)Oltre a numerosi souvenir e memorabilia, si veda l’esempio del parco tematico di Hainan dedicato alla storia, reale e artistica, del distaccamento femminile.

Il presente saggio si propone quindi di esaminare la costruzione del concetto di modello formulato attraverso le yangbanxi nell’era socialista e, di seguito, la creazione di contro-modelli – nostalgici, satirici, critici – forgiati attraverso la decostruzione di queste opere nel periodo postsocialista. L’analisi delle “doppie vite”, o vite postume (afterlives), dei modelli del teatro rivoluzionario si concentra in particolare su un corpus di rivisitazioni (o reincarnazioni, trattandosi di danza fondata sulla biopolitica del corpo) del Distaccamento che possono ritenersi sintomatiche di un discorso culturale contemporaneo più ampio. Se, da un lato, il fenomeno di rievocazione dell’eredità culturale e della memoria collettiva della rivoluzione stimola la produzione di storiografie e memorie alternative finalizzate a una critica dell’utopia socialista, dall’altro, manifesta anche un complesso e spesso contraddittorio impulso nostalgico nei confronti di suddetta utopia.6)A proposito, si vedano Red Legacies in China: Cultural Afterlives of the Communist Revolution, a cura di Li Jie e Erhua Zhang (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2016), e The Making and Remaking of China’s “Red Classics”: Politics, Aesthetics, and Mass Culture, a cura di Rosemary Roberts e Li Li (Hong Kong: Hong Kong University Press, 2017).

La costruzione performativa dei modelli nell’era socialista

Il concetto di modello è sostanzialmente legato a quello di performance e, pertanto, alla sfera teatrale. Un modello è qualcosa o qualcuno da emulare e la cui apparenza o condotta va riprodotta, rivissuta, e reincarnata. La Rivoluzione Culturale fu di per sé un evento intensamente teatrale in senso sia rituale, sia drammatico, e i tipi ideologici diffusi dalle opere modello ricoprirono un ruolo fondamentale nell’immaginario culturale e nell’esperienza quotidiana collettiva della rivoluzione. Ciò conferma l’utilità di un approccio performativo all’analisi del concetto di modello e delle funzioni sociali dei modelli di comportamento basati sugli eroi sublimi, e spesso superumani, delle yangbanxi.

Le pagine seguenti delineano brevemente il processo storico di definizione e costruzione formale della nozione di modello (yangban 样板) nel teatro rivoluzionario tramite l’analisi di immagini e scritti ufficiali del periodo della Rivoluzione Culturale che attestano la canonizzazione estetica e ideologica delle yangbanxi. Di seguito, si discute il fenomeno di decostruzione informale (ovvero, non sancita dalle autorità e riguardante principalmente artisti cinesi indipendenti o stranieri) dei modelli utopistici forgiati dalle yangbanxi attraverso l’esame di opere contemporanee che ne riconsiderano l’eredità artistica dubitandone, al contempo, l’efficacia ideologica.

In un recente studio, Pang Laikwan evidenzia la dimensione performativa della “cultura dei modelli e delle copie” della Rivoluzione Culturale.Pang sostiene l’importanza di una nozione di “mimesi sociale” secondo cui i modelli teatrali furono creati e consacrati come espressione ultima e grandiosa dell’arte rivoluzionaria al fine di fornire modelli umani, ovvero di foggiare prototipi concreti di socializzazione e condotta politica.7)Laikwan Pang, The Art of Cloning: Creative Production During China’s Cultural Revolution (London: Verso, 2017). Si vedano, in particolare, l’introduzione e il capitolo 3. A questo riguardo, Pang esamina la terminologia impiegata nella retorica ufficiale per classificare varie tipologie di modelli, evidenziando la distinzione tra mofan 模范 e yangban 样板. Mofan trova origine nell’etica confucianae indica l’emulazione di personaggi o azioni reali.Su questo tema, Pang fa riferimento all’idea di “società esemplare” proposta da Børge Bakken8)Børge Bakken, The Exemplary Society: Human Improvement, Social Control, and the Dangers of Modernity in China (Oxford: Oxford University Press, 2000). e ai principi di educazione e assimilazione dei modelli forniti da “figure mofan” come Lei Feng o “unità di lavoro mofan” come la comune di Dazhai. Al contrario, yangban è un termine moderno adoperato inizialmente in ambito industriale e associato a principi utilitari di programmazione e riproduzione. Mentre mofan evidenzia un atto mimetico, yangban designa l’imitazione di modelli fittizi forgiati attraverso l’estetica del sublime delle yangbanxi, e quindi un processo di performance sociale.

Pang nota come la canonizzazione dei modelli fittizi derivati dalle yangbanxi fu concomitante all’abbandono di modelli reali quali le Guardie Rosse. Al contrario di queste ultime, gli eroi teatrali erano più facilmente malleabili e controllabili dal regime. Erano, inoltre, più in sintonia con la realizzazione di una visione sociale utopistica secondo principi di estetizzazione e sublimazione della realtà quotidiana.9)Pang,The Art of Cloning, 171-173; 180-187.

Il 31 maggio 1967, in occasione del venticinquesimo anniversario dei Discorsi alla Conferenza di Yan’an sulla Letteratura e l’Arte pronunciati da Mao Zedong nel 1942, un editoriale del Quotidiano del popolo indica otto opere come “modelli eccellenti” (youxiu yangban 优秀样板) di cultura rivoluzionaria e potente arma che “unisce e istruisce il popolo mentre colpisce e distrugge il nemico.”10)“Geming wenyi de youxiu yangban.” Nei mesi successivi, i principali organi di stampa incitano la popolazione a “studiare e difendere i modelli teatrali rivoluzionari”,11)Zhe Ping 哲平, “Xuexi geming yangbanxi baowei geming yangbanxi” 学习革命样板戏保卫革命样板戏 [Studiare e difendere le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 19 ottobre 1969. riportando le testimonianze di comuni cittadini che ne esaltano i “gloriosi esempi” (guanghui bangyang 光辉榜样)12)Wang Kuanyong 王宽永, “Gongchandang yuan de guanghui bangyang” 共产党员的光辉榜样 [Un glorioso esempio di membro del Partito Comunista], Renmin ribao, 6 luglio 1969. “da emulare” (xuexi de bangyang 学习的榜样).13)Cao Jinsheng 曹金生 e Wang Shouren 王守仁, “Pinxia zhongnong zui ai geming yangbanxi” 贫下中农最爱革命样板戏 [I contadini poveri e medio-bassi amano le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 6 luglio 1969. Il distaccamento è spesso citato a riprova del trionfo artistico e ideologico delle yangbanxi al fine di plasmare i “protagonisti della nuova era”: gli operai, i contadini, e i soldati (gong nong bing 工农兵) che pensano, parlano, e agiscono come i protagonisti del teatro (“la stessa lingua, gli stessi sentimenti, le stesse esperienze, la stessa voce”).14)Zhang Honglin 张鸿林, “Geming yangbanxi jiu shi hao” 革命样板戏就是好 [Le opere rivoluzionarie modello sono ottime], Renmin ribao, 6 luglio 1969. La scena teatrale diventa “un’aula” in cui le masse “assistono alle opere rivoluzionarie, divengono persone rivoluzionarie, e intraprendono la via della rivoluzione”.15)Yu Xiao 喻晓, “Kan gemingxi zuo gemingren zou geminglu” 看革命戏做革命人走革命路 [Assistere alle opere rivoluzionarie, divenire persone rivoluzionarie, intraprendere la via della rivoluzione], Renmin ribao, 6 luglio 1969.

La creazione dei prototipi sublimi della nuova umanità del futuro si accompagna all’enunciazione di nuovi precetti estetici. Tra questi si ricorda il principio delle “tre prominenze” (santuchu 三突出), secondo cui tra tutti i personaggi devono risaltare i personaggi positivi, tra i personaggi positivi, quelli eroici, e tra i personaggi eroici, l’eroe o l’eroina principale.16)Si veda Ellen R. Judd, “Prescriptive Dramatic Theory of the Cultural Revolution,” in Drama in the People’s Republic of China, a cura di Constantine Tung and Colin Mackerras (Albany: State University of New York Press, 1987), 94–118. Negli stessi anni, l’apparato propagandistico statale diffonde, inoltre, una cultura visuale volta ad accrescere la forza emulativa dei modelli e la costruzione di una nuova identità sociale secondo principi performativi di personificazione e immedesimazione emotiva.

La collezione di poster del sinologo Stefan R. Landsberger include immagini che propongono nuovi modelli di femminilità ispirati alle eroine del nuovo teatro e raffigurano le nuove generazioni nelle pose tipiche dei protagonisti delle yangbanxi. I ritratti degli eroi principali sono corredati da slogan quali: “Studiare gli eroi e osservarne le azioni” (xue yingxiong jian xingdong 学英雄见行动), e “studiare il teatro rivoluzionario per diventare una persona rivoluzionaria” (xue geming xi zuo geming ren 学革命戏做革命人).17)Di questo slogan si trova anche la variante: “Imparare a cantare le opere modello per imparare a diventare un rivoluzionario” (xuechang yangbanxi, xuezuo gemingren 学唱样板戏学做革命人). La propaganda visiva del periodo esorta la creazione di una collettività rivoluzionaria attraverso l’apprendimento delle opere modello, illustrando la funzione del teatro come fucina di prototipi morali. Nel caso del Distaccamento, la popolarità delle versioni cinematografiche del balletto e dell’opera di Pechino ispirata a quest’ultimo, uscite rispettivamente nel 1970 e nel 1972, contribuì alla consacrazione di Wu Qinghua/Xue Jinghua a icona del sublime femminile socialista.

Tra le strategie di diffusione transmediale dei modelli teatrali che assistono alla “tecnologia di trasformazione”18)Pang, The Art of Cloning, 198. delle masse plasmate a loro immagine si ricordano, inoltre, la realizzazione di statuette di porcellana, la riproduzione di massa di fotografie di scena, e la trasposizione (o “trapianto”) degli originali in vari stili operistici regionali (yizhi yangbanxi 移植样板戏).19)Si vedano Bell Yung, “Model Opera as Model: From Shajiabang to Sagabong,” in Popular Chinese Literature and Performing Arts in the People’s Republic of China, 1949–1979, a cura di Bonnie McDougall (Berkeley: University of California Press, 1984), 144–164, e Chuen-Fung Wong, “The West is Red: Uyghur Adaptation of The Legend of the Red Lantern (Qizil Chiragh) during China’s Cultural Revolution,” in Listening to China’s Cultural Revolution, a cura di Paul Clark, Laikwan Pang, e Tsan-Huang Tsai (New York: Palgrave Macmillan, 2016), 147–165.

Da quanto sopra si potrebbe dedurre che i modelli teatrali fossero vissuti all’unanimità come una prescrizione autoritaria che precludeva qualsiasi esperienza partecipativa; che i messaggi espressi dai modelli fossero efficaci e inequivocabili; che i loro contenuti non potessero stimolare interventi creativi da parte dei destinatari, ossia le masse; e che le masse non ne fossero poi così “ardentemente appassionate” (re’ai 热爱) come asserito dalla stampa ufficiale del periodo.20)Oltre agli articoli citati, si vedano anche “Geming zhanshi re’ai geming yangbanxi” 革命战士热爱革命样板戏 [I soldati rivoluzionari amano le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 12 luglio 1968, e “Xinjiang gezu renmin re’ai yangbanxi” 新疆各族人民热爱样板戏 [Tutte le etnie del Xinjiang amano le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 23 maggio 1972.

Se non del tutto infondato, questo approccio fornisce, tuttavia, solo un quadro parziale dell’esperienza reale di formazione e fruizione della cultura teatrale rivoluzionaria. Recenti studi e storie orali del periodo confutano la visione “strutturalista” e “strumentalista”21)Nancy Yunhwa Rao, “Sonic Imaginary after the Cultural Revolution,” in Listening to China’s Cultural Revolution, 213238. che accentua il ruolo delle istituzioni politiche nell’organizzazione di un sistema di produzione verticale e ricezione passiva di un repertorio ristretto e ripetitivo.Tale interpretazione, a lungo prevalente, sottovaluta infatti l’importanza dell’elemento umano e le capacità agentive degli individui coinvolti nella creazione e circolazione dei modelli.

È vero che compagnie e orchestre con sede a Pechino realizzarono le yangbanxi a livello centrale per poi trasmetterle agli ensemble regionali, provinciali, e distrettuali e ai gruppi amatoriali formatisi nelle fabbriche, nelle miniere, nelle cooperative rurali, e in altre unità locali attraverso visite di delegazioni nella capitale e la campagna di popolarizzazione (dali puji geming yangbanxi 大力普及革命样板戏) intrapresa nel 1970. Ma è altrettanto vero che, almeno inizialmente, la popolazione aderì con entusiasmo a queste iniziative, mostrando un sincero apprezzamento per il nuovo repertorio e innescando un meccanismo di ri-produzione di “versioni alternative” degli impeccabili modelli originali – spesso imperfette, fantasiose, e involontariamente eretiche.22)Sulla reinterpretazione creativa dei modelli nel processo di riproduzione delle copie si veda Pang, The Art of Cloning, capitolo 3.

La coreografa Wen Hui 文慧, ideatrice e co-interprete di RED, un progetto di danza documentaristica che sarà qui esaminato, ricorda in una video intervista la propria esperienza di apprendimento del Distaccamento imitando i movimenti visti al cinema e nelle guide alle yangbanxi pubblicate sui quotidiani nei primi anni Settanta. Quest’ultime, tuttavia, illustravano le posizioni ma non la sequenza coreografica completa, lasciando quindi spazio alla memoria, non sempre fedele, e all’estro creativo dei singoli interpreti. Wen accenna, inoltre, a un aspetto dell’esperienza privata delle yangbanxi ampiamente documentato dagli studiosi della cultura teatrale del periodo – “Gli uomini guardavano le gambe!” – riferendosi all’erotizzazione del corpo femminile (ma non solo) e al piacere visivo provocato dai succinti e involontariamente suggestivi costumi dei balletti rivoluzionari.23)Si veda, tra gli altri, Rosemary Roberts, “Gendering the Revolutionary Body: Theatrical Costume in Cultural Revolution China,” Asian Studies Review 30, 2, 2006, 141–159.

Un’ulteriore critica all’approccio interpretativo che privilegia la capacità produttiva dell’apparato statale a discapito dell’autonomia individuale riguarda il presunto istinto naturale delle classi proletarie all’emulazione dei personaggi positivi. È invece comprovato come la fucina dei modelli – soprattutto quando riproposti nelle versioni amatoriali improvvisate nelle comunità locali – fosse suscettibile ad “atti di sabotaggio” in cui “il fascino dirompente dell’antagonista” riusciva a prevalere nonostante lo sforzo normativo dell’ideologia ufficiale.24)Laurence Coderre, “Breaking Bad: Sabotaging the Production of the Hero in the Amateur Performance of Yangbanxi,”in Listening to China’s Cultural Revolution, 65–83.

 La decostruzione postsocialista dei modelli performativi

La “mania dei classici rossi” (hongse jingdian re 红色经典热) esplosa negli anni Novanta e le testimonianze di coloro che vissero le yangbanxi come un’importante esperienza formativa dimostrano che, nonostante l’immensa tragedia pubblica e gli innumerevoli drammi privati causati dalla Rivoluzione Culturale, la cultura dei modelli teatrali non fu solo uno strumento di propaganda, ma costituì parte integrante di un orizzonte estetico la cui eredità perdura nella Cina contemporanea.

Per alcuni, le yangbanxi furono una professione e una missione, ma per molti furono una fonte di fantasie erotiche, immaginari esotici,25)Si pensi agli scenari tropicali di Hainan e al folclore dell’etnia Li nel Distaccamento. e cosmopolitismo vicario in un periodo di violento radicalismo e di chiusura verso il mondo esterno. Gli attori,26)Xue Jinghua, protagonista del Distaccamento, e Tong Xiangling, protagonista de La presa strategica della montagna della tigre (Zhiqu weihu shan 智取威虎山). gli spettatori, e i fan intervistati nel documentario Yang Ban Xi: The Eight Model Works (Yan Ting Yuen, 2005) attestano che le opere modello rappresentarono – e, per molti, rappresentano tutt’oggi – un aspetto essenziale dell’esistenza collettiva di un’intera nazione. Come afferma Liu Zhuying, una delle interpreti di RED, a proposito del Distaccamento, “questo balletto fu parte di noi e della nostra crescita”.

Oggi, le opere modello e i loro storici protagonisti compaiono nei talent show, nelle pubblicità commerciali, nella comunicazione pubblica (si veda la campagna di sensibilizzazione contro la SARS del 2003), e nei “ristoranti rossi” che ricreano la cultura materiale dell’era rivoluzionaria.27)Claire Conceison, “Eating Red: Performing Maoist Nostalgia in Beijing’s Revolution-Themed Restaurants,” in Food and Theatre on the World Stage, a cura di Dorothy Chansky e Ann White (New York: Routledge, 2015),100–115. Sono citati nella letteratura, nel cinema, e nell’arte (ad esempio, il political pop di Wang Guangyi e Xue Song, le parodie queer di Musk Ming, e la pittura autobiografica di Yu Hong), e scatenano i talenti canori dei tassisti e le movenze di giovani street dancers, come mostra una sequenza iconica del documentario di Yan Ting Yuen.

Le opere modello sono anche oggetto di revival ufficiali – tra cui la messinscena de La ragazza dai capelli bianchi (Baimao nü 白毛女)a Yan’an nel 2015 sotto la direzione artistica dell’attuale first lady, Peng Liyuan28)Chris Buckley, “White-Haired Girl,’ Opera Created Under Mao, Returns to Stage,” The New York Times, 11 novembre 2015. – nonché di atti di contro-memoria politica tra l’ironico e il sovversivo, come il meme orchestrato da Ai Weiwei nel giugno del 2014. Pubblicata sul profilo Instagram dell’artista, l’immagine lo ritrae in una posa tipica del Distaccamento, ossia con una gamba in braccio piegata all’indietro a sembianza di un fucile. Accompagnato dalla didascalia “serie pechinese anti-terrorismo” (Jingcheng fankong xilie 京城反恐系列) e dall’hashtag #gunleg, il meme diventò virale, dando adito a numerose imitazioni e interpretazioni. Tra queste, l’ipotesi che la rievocazione social del balletto alludesse, in realtà, al recente anniversario del massacro di Piazza Tienanmen del 4 giugno 1989, che il governo cinese condannò come una sommossa controrivoluzionaria e che, al contrario della Rivoluzione Culturale, è un tema tuttora tabù in Cina.29)Nell Frizzell, “Is that leg loaded? Ai Weiwei starts web craze with mysterious ‘leg-gun’ pose”, The Guardian, 13 giugno 2014.

La rivisitazione parodica – postsocialista, postmoderna – del Distaccamento non si limita alla Cina. Oltre a Nixon in China, che lo ha reso noto al pubblico internazionale, già ai tempi della Rivoluzione Culturale il balletto ispirò una rielaborazione kitsch nella commedia satirica I cinesi a Parigi (Les Chinois à Paris, 1974) del francese Jean Yann. La versione cinematografica del 1970 compare, inoltre, nel video di “Rebel Girl” (1993) della band statunitense Bikini Kill.30)Anche Brian Eno si è ispirato alle yangbanxi per il titolo dell’album Taking Tiger Mountain (By Strategy) del 1974. Se ne ricordano, infine, le rievocazioni nelle monumentali video-installazioni multicanale di William Kentridge, Notes Towards a Model Opera e More Sweetly Play the Dance (2015), in cui la coreografa sudafricana Dada Masilo impersona le ballerine-soldato della Cina rivoluzionaria, e le serie multimediali The Pink Detachment (video e pittura, 2015) e The Red Detachment of Women (video, performance, e presentazione digitale, 2016) della statunitense Jen Liu.

La versione video di The Pink Detachment – satura di tonalità che variano dal rosso sanguigno, al rosa fluo, a un bianco igienizzato – trasporta lo spettatore dal tropicalismo rivoluzionario maoista alla catena di montaggio di un’alienante fabbrica nella Cina industrializzata del nuovo millennio. Ne trasforma, inoltre, la protagonista da statuaria soldatessa-modello produttrice di prototipi rivoluzionari – e della stessa rivoluzione – a operaia maldestra e inefficiente impiegata nella lavorazione industriale della carne, quindi produttrice di beni di consumo nell’economia capitalista globale. Nella visione ironica e al contempo critica dell’artista, la cui opera verte sui temi dell’“identità nazionale, le economie di genere, il lavoro industriale neoliberista e la rimotivazione dei manufatti d’archivio”,31)Jen Liu, “Visual Artist Talk with Jen Liu.” Visiting Artist Program, 3, 2020. https://digscholarship.unco.edu/visiting_artist/3/ l’utopia del sublime socialista è ridotta a una subalternità distopica. Il proletariato postsocialista – lungi dall’essere osannato tra i “protagonisti della nuova era” come modello di rendimento economico, rettitudine sociale, e purezza ideologica – è degradato alla condizione di un precariato silenzioso, imperfetto, e insudiciato di sangue.

All’eroico comunista “rosso” ed esperto di strategia militare Hong Changqing subentra una ballerina-manager specializzata nella triturazione della carne e delle ossa adoperate nella produzione industriale di hot dog (il “rosa” del titolo). Ai corpi perfettamente sincronizzati del balletto rivoluzionario si sostituisce, infine, una forza lavoro che esegue ritualmente l’incessante danza meccanizzata della produzione di massa.

Citazioni delle musiche e coreografie originali si combinano con la recitazione fuoricampo di stralci di narrativa e saggistica (tra cui Il problema dei tre corpi di Liu Cixin e Il mito della macchina di Lewis Mumford)e documenti federali sulla sicurezza alimentare. Questo rovesciamento postindustriale della “fantasia brutale”32)Dalla descrizione del progetto pubblicata sul sito dell’artista: http://jenliu.info/main.html# dell’ideologia maoistaintende suggerire una continuità tra il passato e il presente e il persistere di disuguaglianze di genere nella transizione da un regime socialista a un capitalismo di matrice autoritaria nonostante la retorica ufficiale di emancipazione femminile. Il titolo del progetto allude al “compromesso ‘annacquato’”(rosa) causato dall’ibridazione di una struttura politica comunista (rosso) e un sistema economico capitalista (bianco) nella Cina del ventunesimo secolo.33)Ibid. Il colore rosa evoca, inoltre, una femminilità innaturale, “sintetica”, e “potenzialmente violenta”.34)Ibid. Liu descrive la propria ricerca artistica come un tentativo di mostrare, attraverso “storie minori”, lo sfruttamento intrinseco alle “grandi narrative” della globalizzazione.35)Ibid.

La serie multimediale The Red Detachment of Women, realizzata l’anno successivo, esamina il medesimo tema della reificazione umana e animale nell’industria alimentare attraverso l’estetica e la retorica – egualmente reificanti – del modello performativo maoista. L’opera comprende un video, un progetto online, e una performance in cui elementi musicali e coreografici della yangbanxi originale si accostano a stilizzazioni geometriche che ricordano le danze astratte del Bauhaus. L’artista invita a una riflessione sul “rapporto tra la memoria sociale e l’oblio sociale” e su come “la memoria selettiva, plasmata dal trauma” possa attribuire “nuovi significati” all’idea di distaccamento rosso – da “corpo militare” allo “smontaggio sanguinoso di una carcassa” – nel passaggio da “un modello rivoluzionario […] a un modello fordista”.36)Ibid.

Nella regione sinofona, già nel 1991 il collettivo sperimentale di Hong Kong, Zuni Icosahedron, aveva invocato la memoria delle yangbanxi in chiave postmoderna per commentare il ritorno della colonia britannica alla RPCnel 1997.  Nonostante il modello originale sia pressoché assente in The Revolutionary Opera (Xianggang yangbanxi 香港样板戏), diretta da Danny Yung 荣念曾, la compagnia dovette rinunciare al titolo previsto inizialmente per la produzione – The Legend of the Red Lantern, come l’omonima yangbanxi – dopo che gli organizzatori del festival in cui ne era programmato il debutto minacciarono la cancellazione delle rappresentazioni. Ogni riferimento, seppur tenue, al totalitarismo della Cina socialista era considerato materia sensibile a Hong Kong in quegli anni. Questo non solo a causa del “trauma anticipatorio”37)Michael Berry, A History of Pain: Trauma in Modern Chinese Literature and Film (New York: Columbia University Press, 2008), 367. suscitato dalla repressione di Piazza Tienanmen del 1989, ma anche in virtù del recente suicidio di Jiang Qing nel maggio del 1991, pochi mesi prima dell’esordio previsto per la versione di Yung. L’evocazione del canone rivoluzionario avrebbe potuto invitare facili equivalenze tra la dittatura culturale del passato e il possibile, nonché paventato, futuro delle arti nella colonia britannica post-1997.38)Rozanna Lilley, Staging Hong Kong: Gender and Performance in Transition (Honolulu: University of Hawai’i Press, 1998), 271–273.

Il progetto multimediale e multilingue del regista pechinese Wang Chong 王翀, The Revolutionary ModelPlay 2.0 (Yangbanxi 2.0 样板戏 2.0), presenta un caso analogo. In seguito al debutto internazionale nel 2015 grazie a una commissione del Singapore International Festival of the Arts, questa rilettura sperimentale della storia delle opere modello non è mai andata in scena in Cina poiché incentrata sulla figura di Jiang Qing, il cui ruolo politico rimane controverso e la cui memoria è esclusa a tutt’oggi dalla sfera pubblica.

Questi esempi dimostrano che se il retaggio culturale del radicalismo maoista può farsi oggetto di parodie, perlopiù inoffensive, e appropriazioni commerciali di massa, resta comunque un patrimonio storico complesso che richiede un trattamento misurato e in linea con la retorica istituzionale ufficiale.

La complessità intrinseca alla ricostruzione di un’immagine coerente e attendibile della cultura e della memoria del decennio rivoluzionario affiora, inoltre, in recenti opere d’impronta documentaristica realizzate in Cina, tra cui RED: A Documentary Performance (Hong: Jilu juchang 红- 纪录剧场, 2016). Ideato dalla coreografa e danzatrice Wen Hui, RED decostruisce il discorso ufficiale sui modelli teatrali rivelandone così una narrativa composita e multifocale attraverso la ricostruzione critica della memoria somatica, emotiva, e materiale del Distaccamento.

RED è il risultato di una ricerca d’archivio pluriennale e numerose interviste a esponenti della generazione di Wen che assistettero alle rappresentazioni del Distaccamento negli anni Settanta e a danzatori professionisti che, nello stesso periodo, interpretarono il balletto con compagnie periferiche nella provincia meridionale dello Yunnan, la regione natia della coreografa dove lei stessa ne apprese le movenze dal cinema e dai giornali, come accennato sopra.

Al centro di RED non sono gli eroi astratti della scena rivoluzionaria o le celebrità che ne incarnarono gli ideali, ma le esperienze di vita reale di interpreti e spettatori comuni della yangbanxi. In questa genealogia decostruttiva del balletto modello, comparse marginali, ricordi intimi, e micro-storie private sostituiscono la narrativa ufficiale del grandioso dispositivo socialista, esponendone i punti ciechi e le contraddizioni ma, allo stesso tempo, evidenziando anche la continua rilevanza dell’eredità del socialismo nella società cinese odierna, come uno spettro che fatica a dileguarsi.

Parti coreografiche eseguite da quattro danzatrici di diverse generazioni si sovrappongono, quasi immergendovisi, a fotografie e sequenze del film del balletto modello del 1970 e della versione di Xie Jin del 1961, video interviste, e primi piani di una mano, quasi scorporata, che sfoglia le pagine di un manuale coreografico delballetto. Residuo materiale del passato rievocato dal medium filmico, il manuale – uno dei tanti pubblicati durante la rivoluzione per servire la campagna di diffusione dei modelli – illustra azioni prescrittive che vengono scomposte, scrutinate, e ricostruite attraverso la narrazione e il movimento delle quattro interpreti sulla scena.  Si tratta, quindi, di un testo intermediale che registra e ricompone molteplici accumuli di memoria attraverso corpi documentati e documentanti, mediati e reali. Per questo motivo, il programma di sala descrive la produzione come “l’anatomia di un balletto”, ovvero un tentativo di “anatomizzare” i principi estetici e i significati politici del modello e di evocarne la memoria tramite i corpi delle danzatrici sulla scena.39)Secondo la descrizione riportata nei programmi di sala del Dance Umbrella di Londra (2018), a cui ho assistito personalmente, del Festival d’Automne di Parigi (2017), e del BOK Festival di Macao (2016).

Il concetto di corpo come archivio e depositario di memoria costituisce uno dei punti cardine del processo creativo di RED e del metodo del Living Dance Studio, la compagnia indipendente fondata da Wen nel 1994 insieme al documentarista Wu Wenguang. Come scrive Zhuang Jiayun, autrice delle parti testuali di RED, il corpo rappresenta “un metodo di ricerca” e “uno strumento cognitivo” di analisi fenomenologica e di critica della biopolitica del balletto socialista.40)Zhuang Jiayun, ‘Red’: Using the Body to Touch the Contemporaneity of the Past,” The Theatre Times, 6 marzo 2017. La danza si fa quindi documento e strumento mnemonico-narrativo in quanto “pratica di memoria sociale e ricostruzione storica alternativa”41)Kiki Tianqi Yu. “A Conversation with Wen Hui,” Studies in Documentary Film 14, 1, 2020), 21–29. che testimonia e trasmette le storie inscritte nei corpi veri, energici, appassionati, ma anche esausti e imperfetti, di comparse “minori” (nella prospettiva della storiografia ufficiale) nella grande narrativa dei modelli teatrali della rivoluzione. Le storie reali dei corpi delle diverse generazioni di interpreti e spettatori protagonisti di RED collidono con i corpi disciplinati e docili dei modelli del Distaccamento, incaricati di tramandare la memoria nazionale collettiva, mentre il movimento spontaneo della danza moderna si intreccia a quello strutturato e tecnicamente perfetto della danza modello.

La materialità organica delle cose e dei corpi si scontra con le anatomie eteree delle ballerine armate di pistola nella visione canonica del balletto. In RED, il corpo della danza modello è fatto anche di latte materno, piedi sanguinanti, e scarpette imbrattate di fango.

Diversi approcci alla cultura dei modelli si confrontano per mezzo delle esperienze personali e generazionali delle quattro danzatrici sulla scena. Ognuna è contraddistinta da un movimento caratterizzante che riflette una tipologia distinta di corpo e di memoria anatomica e affettiva.

Liu Zhuying e Wen Hui, nate rispettivamente nel 1955 e nel 1960 ed educate nel sistema socialista, vissero l’esperienza della rivoluzione e della danza modello in prima persona. Come indicato nel programma di sala, nel 1970 Liu fu scritturata nella messinscena del Distaccamento con la compagnia di danza di Kunming, in cui interpretò diversi ruoli in centinaia di rappresentazioni. Wen, allora agli albori della sua formazione di danzatrice, considerava Liu un “modello” in quanto personificazione del modello di danza del tempo.42)Cai Yiwen. “From Propaganda Ballets to Dance for The People,” Sixth Tone, 29 maggio 2017. Liu e Wen rappresentano quindi due tipologie di corpo: il corpo rivoluzionario, che incarna il modello, e il corpo conflittuale, che resiste al modello nonché a una “nozione di corpo standardizzato dalla rivoluzione e dal lavoro”.43)Zhuang, “‘Red.’” Wen stessa descrive il proprio corpo nella messinscena di RED come una manifestazione di “lotta” nei confronti delle yangbanxi.44)Sofia Jesus, “Red, Body and Memory,” mART, 13 giugno 2016. L’esperienza fenomenologica della coreografa illustra gli effetti della cultura delle copie teorizzata da Pang Laikwan e discussa sopra, nel senso che i modelli e chi li impersonava, come Liu, furono per lei oggetto di emulazione. Dopo essersi avvicinata alla danza moderna, tuttavia, Wen abbandonò il training accademico convenzionale e il sistema delle compagnie statali che tuttora domina l’industria dello spettacolo nella Cina popolare per fondare il proprio collettivo indipendente. Il suo corpo conflittuale incarna dunque l’ambiguità affettiva riguardo al passato socialista che definisce il discorso culturale del postsocialismo. La stessa ambivalenza si evince dalle video interviste mostrate durante la performance, in cui gli interlocutori esprimono un sentimento di nostalgia mista a disagio rispetto alle yangbanxi.

Quanto alle altre due interpreti, entrambe nate negli anni Ottanta, il corpo della professionista Jiang Fan è un corpo addestrato, contemporaneo, e inizialmente alienato dal modello, finché la danzatrice non ne riconosce le tracce nella propria formazione accademica. Al contrario, il corpo “naturale”45)Zhuang, “‘Red.’” di Li Xinming condivide una narrativa di formazione con il balletto modello, in cui la protagonista abbandona una vita di soprusi per un radioso avvenire nel battaglione rivoluzionario. Analogamente Li, cresciuta in un villaggio rurale, migrò a Pechino e prima di unirsi al Living Dance Studio lavorò come addetta alle pulizie a Caochangdi, un tempo sede del gruppo. Il suo è un corpo spontaneo, non condizionato dalla formazione accademica ortodossa, e proveniente da una realtà, quella della Cina rurale, dove i corpi non significano arte, ma fatica e lavoro manuale. I corpi delle quattro interpreti si fanno dunque archivio di storie e memorie disparate. Per le due danzatrici più giovani l’eredità del balletto modello è una memoria prostetica, ovvero una conoscenza indiretta acquisita attraverso film, fotografie, e altri media.46)Alison Landsberg, Prosthetic Memory: The Transformation of American Remembrance in the Age of Mass Culture (New York: Columbia University Press, 2004).

Abbiamo, infine, i corpi mediati dei soggetti delle video interviste. Tra questi, il racconto di Wang Huifen, la più anziana tra le danzatrici intervistate, che interpretò il ruolo di Wu Qinghua durante la Rivoluzione Culturale. Qui, il collegamento tra corpo e lavoro non riguarda solo il lavoro fisico – lo sforzo del corpo danzante o la memoria del lavoro manuale nel corpo della danzatrice migrante – ma quello riproduttivo. L’ex danzatrice condivide il ricordo di quando, nel 1972, le fu intimato di sottoporsi a un’iniezione per interrompere la produzione di latte materno affinché potesse tornare sulla scena subito dopo il parto. Durante una prova, il latte destinato al neonato iniziò a colare sul pavimento, mischiato al sudore della pelle, per poi fermarsi naturalmente a causa dell’eccessivo affaticamento dopo tre giorni di prove estenuanti. Wang ricorda, inoltre, come il ruolo di ballerina modello mise a dura prova la propria vita privata e il rapporto col marito. Sono memorie penose che la donna rievoca, tuttavia, con energia e giovialità, ringraziando Wen per averle dato la possibilità di ricordare e per averle “ridato” il passato, nonostante le storie di violenza che affida alla videocamera della coreografa.

La memoria della cultura delle yangbanxi emerge talvolta in negativo, ovvero non come capacità di ricordare ma come sforzo di non dimenticare. Alcuni degli intervistati notano che i ricordi sono sfocati o di non riuscire a ricordare certi dettagli. Ad esempio, Zhang Laixiang, un ex-interprete del ruolo di Hong Changqing che oggi insegna coreografie dal tenore propagandistico ai giovani alunni di una scuola di danza. Al pari di Wang, Zhang rievoca il passato con trasporto, ma la sua memoria corporea sembra tradire l’entusiasmo verbale: quando tenta di dimostrare il balletto, fatica a ricordarne l’esatta sequenza.

Al contempo, è evidente dalle testimonianze raccolte da Wen e dalle sue collaboratrici (Zhuang Jiayun e Zhou Xueping) che sebbene la memoria del passato possa suscitare riluttanza o disagio, questo passato rappresenta un’esperienza storica fondamentale che deve essere presa sul serio. Come intima una delle intervistate, “con la cultura delle masse non si scherza”. In ultima analisi, i corpi-archivio che si muovono sulla scena e le memorie mediate dalle video interviste funzionano come un farmaco – veleno e antidoto – contro la dimenticanza. Ma se, da un lato, è evidente l’importanza – e il conforto – del ricordare, dall’altro, è evidente anche la difficoltà di ricordare una storia quotidiana fatta di sacrificio e, spesso, sofferenza.

In conclusione, ciò che emerge dalle vite postume dei modelli del teatro rivoluzionario è un rapporto sociale e culturale con il passato essenzialmente ambivalente che combina sentimenti nazionalistici, smanie consumistiche, nostalgia (per un periodo di innocenza e vigore giovanile), entusiasmo (per la danza), repulsione (per la violenza e l’eccesso ideologico), istinto a dimenticare, e impegno a ricordare. La disgiunzione temporale caratteristica del postsocialismo cinese porta a una percezione del presente come ripetizione e ripresa di una realtà trascorsa, in cui indugiano gli spettri di un passato non ancora concluso.47)Su questo punto si veda, ad esempio, Sheldon Hsiao-peng Liu, Chinese Modernity and Global Biopolitics: Studies in Literature and Visual Culture (Honolulu: University of Hawai’i Press, 2007). Secondo questa logica, il fenomeno contemporaneo di ricostruzione, reinvenzione, e reincarnazione delle yangbanxi può essere visto come un’archeologia decostruttiva dell’ontologia della cultura performativa, visuale, e materiale della rivoluzione maoista, e quindi una hauntologie (spettrologia) di impronta derridiana.48)Jacques Derrida. Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuova Internazionale (Milano: Cortina, 1994). Le silhouette fantasmatiche dei modelli socialisti ritornano e rivivono in una dimensione estetica spettrale, ricordate, ri-mediate, e re-incarnate nell’archivio di memorie, immagini, e corpi del presente postsocialista.

Ferrari, Vite postume di un modello PDF

Immagine, Il distaccamento femminile rosso, balletto contemporaneo

Rossella Ferrari è professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale dell’Università di Vienna, Austria. La sua ricerca verte principalmente sulle culture performative del mondo sinofono. Si interessa inoltre di avanguardia, intermedialità, interculturalità, studi sulla memoria e approcci transnazionali e interasiatici allo studio della produzione culturale di lingua cinese. È autrice di Da Madre Coraggio e i suoi figli a Jiang Qing e i suoi mariti: percorsi brechtiani in Cina (2004), Pop Goes the Avant-Garde: Experimental Theatre in Contemporary China (2012), Transnational Chinese Theatres: Intercultural Performance Networks in East Asia (2020), e co-curatrice di Asian City Crossings: Pathways of Performance through Hong Kong e Singapore (2021).

 

References
1 “Geming wenyi de youxiu yangban” 革命文艺的优秀样板 [Modelli eccellenti di letteratura e arte rivoluzionarie], Renmin ribao, 31 maggio 1967. Il termine yangbanxi era già apparso nella stampa ufficiale nel 1965 in riferimento all’opera di Pechino moderna La Leggenda della Lanterna Rossa (Hongdeng ji 红灯记).
2 Sulla natura restrittiva dello slogan sopraccitato si veda, ad esempio, Barbara Mittler, “‘Eight Stage Works for 800 Million People’: The Great Proletarian Cultural Revolution in Music – A View from Revolutionary Opera,” The Opera Quarterly 26, 2–3, 2010, 377–401. Per una lista completa delle diciotto opere ufficialmente incluse nel repertorio modello si veda Barbara Mittler, A Continuos Revolution: Making Sense of Cultural Revolution Culture (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2012), 394.
3 Sulle versioni precedenti e successive al balletto del 1964 si veda Christine Harris, “Re-makes/Re-models: The Red Detachment of Women between Stage and Screen,” The Opera Quarterly 26, 2–3, 2010, 316342.
4 Le rappresentazioni internazionali del balletto sono state talvolta causa di proteste e controversie, ad esempio negli Stati Uniti e in Australia. Si vedano, rispettivamente, Leo Timm, “Chinese Ballet at Lincoln Center Glorifies the Violent Class Struggle that Killed My Great-Grandfather,” Epoch Times, 17 luglio 2015, e Antonia Finnane, “The Red Detachment of Women marches forward – but to where?”, The Conversation, 16 febbraio 2017.
5 Oltre a numerosi souvenir e memorabilia, si veda l’esempio del parco tematico di Hainan dedicato alla storia, reale e artistica, del distaccamento femminile.
6 A proposito, si vedano Red Legacies in China: Cultural Afterlives of the Communist Revolution, a cura di Li Jie e Erhua Zhang (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2016), e The Making and Remaking of China’s “Red Classics”: Politics, Aesthetics, and Mass Culture, a cura di Rosemary Roberts e Li Li (Hong Kong: Hong Kong University Press, 2017).
7 Laikwan Pang, The Art of Cloning: Creative Production During China’s Cultural Revolution (London: Verso, 2017). Si vedano, in particolare, l’introduzione e il capitolo 3.
8 Børge Bakken, The Exemplary Society: Human Improvement, Social Control, and the Dangers of Modernity in China (Oxford: Oxford University Press, 2000).
9 Pang,The Art of Cloning, 171-173; 180-187.
10 “Geming wenyi de youxiu yangban.”
11 Zhe Ping 哲平, “Xuexi geming yangbanxi baowei geming yangbanxi” 学习革命样板戏保卫革命样板戏 [Studiare e difendere le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 19 ottobre 1969.
12 Wang Kuanyong 王宽永, “Gongchandang yuan de guanghui bangyang” 共产党员的光辉榜样 [Un glorioso esempio di membro del Partito Comunista], Renmin ribao, 6 luglio 1969.
13 Cao Jinsheng 曹金生 e Wang Shouren 王守仁, “Pinxia zhongnong zui ai geming yangbanxi” 贫下中农最爱革命样板戏 [I contadini poveri e medio-bassi amano le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 6 luglio 1969.
14 Zhang Honglin 张鸿林, “Geming yangbanxi jiu shi hao” 革命样板戏就是好 [Le opere rivoluzionarie modello sono ottime], Renmin ribao, 6 luglio 1969.
15 Yu Xiao 喻晓, “Kan gemingxi zuo gemingren zou geminglu” 看革命戏做革命人走革命路 [Assistere alle opere rivoluzionarie, divenire persone rivoluzionarie, intraprendere la via della rivoluzione], Renmin ribao, 6 luglio 1969.
16 Si veda Ellen R. Judd, “Prescriptive Dramatic Theory of the Cultural Revolution,” in Drama in the People’s Republic of China, a cura di Constantine Tung and Colin Mackerras (Albany: State University of New York Press, 1987), 94–118.
17 Di questo slogan si trova anche la variante: “Imparare a cantare le opere modello per imparare a diventare un rivoluzionario” (xuechang yangbanxi, xuezuo gemingren 学唱样板戏学做革命人).
18 Pang, The Art of Cloning, 198.
19 Si vedano Bell Yung, “Model Opera as Model: From Shajiabang to Sagabong,” in Popular Chinese Literature and Performing Arts in the People’s Republic of China, 1949–1979, a cura di Bonnie McDougall (Berkeley: University of California Press, 1984), 144–164, e Chuen-Fung Wong, “The West is Red: Uyghur Adaptation of The Legend of the Red Lantern (Qizil Chiragh) during China’s Cultural Revolution,” in Listening to China’s Cultural Revolution, a cura di Paul Clark, Laikwan Pang, e Tsan-Huang Tsai (New York: Palgrave Macmillan, 2016), 147–165.
20 Oltre agli articoli citati, si vedano anche “Geming zhanshi re’ai geming yangbanxi” 革命战士热爱革命样板戏 [I soldati rivoluzionari amano le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 12 luglio 1968, e “Xinjiang gezu renmin re’ai yangbanxi” 新疆各族人民热爱样板戏 [Tutte le etnie del Xinjiang amano le opere rivoluzionarie modello], Renmin ribao, 23 maggio 1972.
21 Nancy Yunhwa Rao, “Sonic Imaginary after the Cultural Revolution,” in Listening to China’s Cultural Revolution, 213238.
22 Sulla reinterpretazione creativa dei modelli nel processo di riproduzione delle copie si veda Pang, The Art of Cloning, capitolo 3.
23 Si veda, tra gli altri, Rosemary Roberts, “Gendering the Revolutionary Body: Theatrical Costume in Cultural Revolution China,” Asian Studies Review 30, 2, 2006, 141–159.
24 Laurence Coderre, “Breaking Bad: Sabotaging the Production of the Hero in the Amateur Performance of Yangbanxi,”in Listening to China’s Cultural Revolution, 65–83.
25 Si pensi agli scenari tropicali di Hainan e al folclore dell’etnia Li nel Distaccamento.
26 Xue Jinghua, protagonista del Distaccamento, e Tong Xiangling, protagonista de La presa strategica della montagna della tigre (Zhiqu weihu shan 智取威虎山).
27 Claire Conceison, “Eating Red: Performing Maoist Nostalgia in Beijing’s Revolution-Themed Restaurants,” in Food and Theatre on the World Stage, a cura di Dorothy Chansky e Ann White (New York: Routledge, 2015),100–115.
28 Chris Buckley, “White-Haired Girl,’ Opera Created Under Mao, Returns to Stage,” The New York Times, 11 novembre 2015.
29 Nell Frizzell, “Is that leg loaded? Ai Weiwei starts web craze with mysterious ‘leg-gun’ pose”, The Guardian, 13 giugno 2014.
30 Anche Brian Eno si è ispirato alle yangbanxi per il titolo dell’album Taking Tiger Mountain (By Strategy) del 1974.
31 Jen Liu, “Visual Artist Talk with Jen Liu.” Visiting Artist Program, 3, 2020. https://digscholarship.unco.edu/visiting_artist/3/
32 Dalla descrizione del progetto pubblicata sul sito dell’artista: http://jenliu.info/main.html#
33 Ibid.
34 Ibid.
35 Ibid.
36 Ibid.
37 Michael Berry, A History of Pain: Trauma in Modern Chinese Literature and Film (New York: Columbia University Press, 2008), 367.
38 Rozanna Lilley, Staging Hong Kong: Gender and Performance in Transition (Honolulu: University of Hawai’i Press, 1998), 271–273.
39 Secondo la descrizione riportata nei programmi di sala del Dance Umbrella di Londra (2018), a cui ho assistito personalmente, del Festival d’Automne di Parigi (2017), e del BOK Festival di Macao (2016).
40 Zhuang Jiayun, ‘Red’: Using the Body to Touch the Contemporaneity of the Past,” The Theatre Times, 6 marzo 2017.
41 Kiki Tianqi Yu. “A Conversation with Wen Hui,” Studies in Documentary Film 14, 1, 2020), 21–29.
42 Cai Yiwen. “From Propaganda Ballets to Dance for The People,” Sixth Tone, 29 maggio 2017.
43 Zhuang, “‘Red.’”
44 Sofia Jesus, “Red, Body and Memory,” mART, 13 giugno 2016.
45 Zhuang, “‘Red.’”
46 Alison Landsberg, Prosthetic Memory: The Transformation of American Remembrance in the Age of Mass Culture (New York: Columbia University Press, 2004).
47 Su questo punto si veda, ad esempio, Sheldon Hsiao-peng Liu, Chinese Modernity and Global Biopolitics: Studies in Literature and Visual Culture (Honolulu: University of Hawai’i Press, 2007).
48 Jacques Derrida. Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuova Internazionale (Milano: Cortina, 1994).